La flessibilità organizzativa è un’esigenza sentita tanto nel settore privato quanto nel pubblico impiego. Tuttavia, la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle per le quali è stato assunto incontra limiti precisi, volti a tutelarne la professionalità e la dignità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro (la n. 12128, depositata l’8 maggio 2025), offre importanti chiarimenti riguardo all’assegnazione di mansioni inferiori nel pubblico impiego privatizzato, analizzando specificamente il caso di un infermiere adibito a compiti propri dell’Operatore Sociosanitario (OSS).
Il contesto normativo e giurisprudenziale
Nel pubblico impiego privatizzato, il rapporto di lavoro è disciplinato, seppur con specificità, da principi analoghi a quelli del lavoro privato. Permane tuttavia una rilevanza dell’interesse pubblico sotteso all’esercizio dell’attività, che impone al lavoratore un dovere di leale collaborazione. È in questo contesto che la giurisprudenza ammette la possibilità di assegnare il lavoratore a mansioni inferiori rispetto a quelle di inquadramento.
Tale possibilità, tuttavia, non è illimitata. La Suprema Corte ha da tempo individuato una serie di condizioni stringenti affinché l’adibizione a mansioni inferiori sia considerata legittima:
1. Le mansioni inferiori non devono essere completamente estranee alla professionalità del lavoratore. Nel caso specifico, le attività tipiche dell’OSS (legate alla cura della persona) non sono ritenute del tutto estranee alla professionalità dell’infermiere, poiché la cura della persona è un tratto comune ad entrambe.
2. Deve sussistere un’obiettiva esigenza, organizzativa, operativa o di sicurezza, del datore di lavoro pubblico. Tale esigenza deve essere concreta e non basata su scelte estemporanee.
3. La richiesta di svolgere tali mansioni inferiori deve avvenire in via marginale rispetto alle attività qualificanti dell’inquadramento professionale del prestatore. Per “marginale” si intende di scarso e limitato rilievo quantitativo rispetto alle mansioni di effettiva pertinenza.
4. Alternativamente, qualora la consistenza quantitativa delle attività di livello inferiore sia più ampia e non sia marginale, lo svolgimento di mansioni inferiori deve essere meramente occasionale.
È fondamentale che, anche in presenza di mansioni inferiori, il lavoratore continui a svolgere in modo prevalente e assorbente le attività proprie della sua qualifica.
La Cassazione sottolinea che il ricorso sistematico e non marginale a mansioni inferiori viola di per sé il diritto del lavoratore al rispetto della propria professionalità, anche se viene rispettato il parametro della prevalenza nello svolgimento delle attività proprie dell’inquadramento. Un uso non accessorio o non limitato nel tempo delle mansioni inferiori lede la professionalità e l’immagine lavorativa del dipendente.
Il caso esaminato dalla Cassazione
La sentenza n. 12128/2025 trae origine dal ricorso di una ASL contro la decisione della Corte d’Appello di L’Aquila. La Corte d’Appello aveva ritenuto illegittima l’adibizione di un’infermiera ad attività proprie degli OSS, condannando l’azienda al risarcimento del danno alla dignità professionale e all’immagine lavorativa.
La Corte d’Appello aveva accertato, sulla base dell’istruttoria testimoniale, che l’adibizione alle mansioni inferiori (quali trasporto malati, riordino letti, risposta campanelli, cura igiene pazienti, cambio pannoloni, gestione padelle) era stata “costante e sistematica” e aveva riguardato “buona parte della giornata lavorativa”, e non marginale o sporadica. Pur emergendo che gli infermieri svolgessero prevalentemente la loro attività propria, il carattere non marginale e non occasionale dell’assegnazione alle mansioni OSS era considerato illegittimo.
L’ASL ricorreva in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, che l’infermiera svolgeva in maniera prevalente le proprie mansioni e che le attività di OSS non erano estranee alla professionalità dell’infermiere, e che la richiesta di tali compiti avveniva in caso di carenza di personale OSS. Lamentava inoltre che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente accertato l’effettivo svolgimento “sporadico e occasionale” delle mansioni inferiori.
La decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’ASL, confermando la decisione della Corte d’Appello.
La Corte ha ribadito che l’adibizione degli infermieri ad attività proprie degli OSS non è a priori illegittima, trovando fondamento nei doveri di flessibilità e leale collaborazione. Tuttavia, ha confermato che tale possibilità è subordinata a precise condizioni.
Richiamando i propri precedenti, la Cassazione ha riaffermato che la richiesta di mansioni inferiori deve avvenire “incidentalmente o marginalmente”. Se la marginalità non ricorre, e la consistenza delle attività inferiori è più ampia, è necessario che lo svolgimento di tali mansioni sia meramente occasionale. Ha specificato che il ricorso sistematico e non marginale alle mansioni inferiori viola in sé il diritto alla professionalità del lavoratore, anche se quest’ultimo continua a svolgere prevalentemente le proprie mansioni qualificate.
Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente applicato questi principi, accertando in fatto che l’adibizione alle mansioni OSS non era stata marginale o occasionale, bensì “costante e sistematica” e “per buona parte della giornata lavorativa”.
Quanto al risarcimento del danno, la Corte ha confermato che la Corte d’Appello aveva correttamente individuato gli elementi da cui desumere il pregiudizio alla dignità professionale e all’immagine lavorativa (come la lunga durata dello svolgimento delle mansioni inferiori, la loro natura manuale, e lo svolgimento in presenza dei pazienti). Tali elementi hanno costituito una base presuntiva non implausibile per la liquidazione equitativa del danno. Le allegazioni sul pregiudizio subito all’immagine e alla dignità professionale erano, del resto, presenti.
Conclusioni e principio di diritto
La sentenza n. 12128/2025 consolida l’orientamento giurisprudenziale sui limiti del demansionamento nel pubblico impiego. La Cassazione ha ribadito il seguente principio:
“nel pubblico impiego privatizzato il lavoratore, venendo in rilievo il suo dovere di leale collaborazione nella tutela dell’interesse pubblico sotteso all’esercizio dell’attività, può essere adibito a mansioni inferiori rispetto a quelle di assegnazione, ma ciò a condizione che tali mansioni non siano completamente estranee alla sua professionalità, che ricorra una obiettiva esigenza, organizzativa o di sicurezza, del datore di lavoro e che inoltre la richiesta di tali mansioni inferiori avvenga in via marginale rispetto alle attività qualificanti dell’inquadramento professionale del prestatore o che, quando tale marginalità non ricorra, fermo lo svolgimento prevalente delle menzionate attività qualificanti, lo svolgimento di mansioni inferiori sia meramente occasionale”.
Questa pronuncia evidenzia come, nonostante la peculiarità del pubblico impiego e l’importanza dell’interesse pubblico, la tutela della professionalità del lavoratore rimanga un valore centrale. L’assegnazione a mansioni inferiori è consentita solo entro limiti ben definiti di proporzionalità, occasionalità o marginalità, la cui violazione può comportare il diritto del lavoratore al risarcimento del danno.
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