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DiAnnamaria Palumbo

Principi di tassatività e proporzionalità della sanzione disciplinare: le molestie verbali al vaglio della Cassazione

Una recente pronuncia, l’ordinanza n. 15549 dell’11 giugno 2025 della Cassazione Civile, Sezione Lavoro, ha offerto chiarimenti importanti in merito all’applicazione delle sanzioni disciplinari per condotte di molestie sessuali verbali sul luogo di lavoro. La sentenza ribadisce principi chiave relativi alla specificità della contestazione disciplinare e alla proporzionalità della sanzione, rafforzando la posizione del datore di lavoro nell’affrontare comportamenti gravi.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dal ricorso di un dipendente, R.A., contro la decisione della Corte d’Appello di Bologna, che aveva confermato la legittimità della sanzione disciplinare di otto giorni di sospensione inflitta dalla sua azienda, (OMISSIS) spa. La sanzione era stata comminata a seguito di molestie sessuali verbali nei confronti di una collega di lavoro, una condotta che la Corte d’Appello aveva ritenuto fondata sulla base delle testimonianze raccolte. La corte aveva considerato adeguata la “massima sanzione conservativa”, ritenendo irrilevante la pregressa storia professionale del dipendente.

Le contestazioni del ricorrente in Cassazione

Il dipendente R.A. ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse censure, tra cui:

  • La violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 7 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) e degli articoli 2104 e 2105 c.c., lamentando l’errata applicazione del principio di tassatività e determinatezza della contestazione disciplinare a causa dell’omessa indicazione dell’orario esatto degli episodi e del nome di tutti i colleghi menzionati.
  • La denuncia di incoerenza logica nell’applicazione del principio di “circolarità” tra onere di allegazione e onere della prova a carico del datore di lavoro.
  • La deduzione della violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e 111 della Costituzione, per l’omessa indicazione del criterio logico assunto dalla Corte territoriale nella valutazione del quadro probatorio e delle testimonianze.
  • La censura di anomalia motivazionale e violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare.
  • La violazione e falsa applicazione dell’articolo 2106 c.c., per la presunta violazione del principio di gradualità e proporzionalità della sanzione.

Le ragioni della decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato complessivamente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti su ciascun punto:

  1. Sulla determinatezza della contestazione: La Cassazione ha ritenuto infondato il primo motivo. Ha confermato che la Corte territoriale ha correttamente valutato che la contestazione era sufficientemente determinata sia in merito alla condotta contestata (molestie verbali a carattere sessuale nei confronti di altra dipendente) sia alle circostanze di tempo e luogo (23.6.2021). L’assenza dell’indicazione esatta dell’orario o del nome di tutti i colleghi non è stata considerata rilevante, poiché l’addebito riportava i fatti essenziali caratterizzanti la condotta sanzionata. Tale valutazione rientra nel giudizio di merito del giudice di fatto e non è censurabile in Cassazione se adeguatamente motivata e non contraddittoria.
  2. Sulla coerenza temporale e l’onere della prova: Relativamente al secondo motivo, la Corte ha osservato che la motivazione della Corte d’Appello deve essere “letta” nella sua interezza per coglierne l’iter logico . Sebbene la contestazione iniziale potesse essere percepita come generica sull’orario, il giudice d’appello ha correttamente indicato presunti orari a seguito delle testimonianze esaminate per valutare la coerenza dei testi con quanto contenuto nell’addebito . La Cassazione ha chiarito che non vi è stata alcuna “integrazione o interpolazione” della contestazione, ma solo un controllo sulla coerenza dei fatti risultanti dall’istruttoria. L’elemento dell’orario e la sua esattezza non sono stati considerati decisori rispetto all’addebito in sé; ciò che rileva è invece la coerenza tra quanto affermato nell’addebito e quanto risultante dall’istruttoria.
  3. Sulla valutazione della prova e la “storia lavorativa”: Il terzo motivo, che contestava l’errata valutazione della “storia lavorativa” del ricorrente e dell’ambiente ostile, è stato dichiarato inammissibile . La Corte ha ribadito che concentrare l’attenzione sullo specifico e unico fatto contestato (molestie verbali con implicazioni sessuali) per il quale era stata raggiunta piena prova, è del tutto ragionevole . La censura si è sostanziata in una riproposizione di elementi fattuali già discussi in sede di merito e non consentiti in sede di legittimità .
  4. Sull’immutabilità della contestazione: Analogamente, la censura relativa all’anomalia motivazionale e alla presunta violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare (per la collocazione oraria del fatto da parte della Corte d’Appello) è stata ritenuta inammissibilmente posta . Come già evidenziato, l’intervento della Corte d’Appello mirava a verificare la coerenza tra l’addebito e l’istruttoria, senza modificare la contestazione originaria.
  5. Sulla proporzionalità della sanzione: Infine, riguardo alla violazione del principio di gradualità e proporzionalità della sanzione (art. 2106 c.c.), la Cassazione ha confermato che si tratta di una valutazione di merito, di competenza della Corte d’Appello, e non sindacabile in sede di legittimità . La sentenza impugnata aveva chiarito che, pur non potendo dare rilievo ad altre due contestazioni più generiche, la rilevanza disciplinare del nucleo del fatto imputato (le molestie sessuali verbali), anche considerato nella sua singolarità, giustificava l’entità della sanzione inflitta . La Cassazione ha riaffermato che il giudizio di proporzionalità è sindacabile solo in caso di motivazione assente, illogica, perplessa o manifestamente incomprensibile .

Conclusioni e implicazioni pratiche

Questa ordinanza della Cassazione rafforza l’orientamento giurisprudenziale secondo cui le contestazioni disciplinari, pur dovendo essere specifiche per consentire al dipendente di difendersi, non richiedono un’eccessiva pedanteria nell’indicazione di dettagli minori (come l’orario esatto o tutti i nomi dei presenti) purché i fatti essenziali siano chiaramente individuati. Inoltre, la sentenza sottolinea l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella valutazione della proporzionalità della sanzione, soprattutto in presenza di condotte gravi come le molestie sessuali, dove anche un singolo episodio può giustificare una sanzione significativa, inclusa la massima sanzione conservativa.

Per i datori di lavoro, è fondamentale assicurare che le contestazioni disciplinari siano chiare e sufficientemente dettagliate per consentire al dipendente una piena difesa, ma senza la necessità di includere ogni minimo dettaglio che non sia essenziale alla qualificazione del fatto. La capacità di dimostrare la coerenza tra la contestazione e i fatti accertati in fase istruttoria rimane un pilastro per la tenuta del provvedimento disciplinare in sede giudiziale.


Si precisa che il presente articolo ha carattere informativo e non costituisce consulenza legale. Per questioni specifiche, si invita a consultare un professionista.