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DiAnnamaria Palumbo

La natura giuridica degli atti delle Casse privatizzate.

Annamaria Silvana Palumbo

Sommario

Introduzione. 1

1: La privatizzazione e la natura ibrida degli enti. 2

2: Il riconoscimento del potere normativo. 3

3: Le diverse interpretazioni sulla natura giuridica degli atti.. 4

3.1. L’orientamento pubblicistico: fonte secondaria e abrogazione. 4

3.2. L’orientamento privatistico: atto negoziale e deroga. 4

3.3. La prospettiva ibrida: regime giuridico particolare. 5

4: Limiti e condizioni dell’esercizio del potere normativo. 6

5: Gli orientamenti giurisprudenziali 7

6: Questioni aperte. 8

Conclusioni 8

Bibliografia. 9

Introduzione

Il sistema italiano di previdenza e assistenza obbligatoria per i liberi professionisti è stato oggetto di una radicale trasformazione a partire dal D. Lgs. n. 509 del 1994. Questo decreto ha avviato il processo di privatizzazione di numerosi enti storici, tra cui la Cassa forense (Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense). Nati in origine come enti pubblici, questi soggetti sono stati trasformati in soggetti giuridici di diritto privato, assumendo tipicamente la forma della fondazione o dell’associazione.

Nonostante la nuova veste giuridica privata, la natura pubblica dell’attività principale svolta da queste Casse è rimasta invariata: garantire le prestazioni previdenziali e assistenziali obbligatorie a specifiche categorie di lavoratori. Questa commistione tra anima privata del soggetto e finalità pubblica dell’attività istituzionale ha dato vita a soggetti “ibridi”, caratterizzati da una peculiare dualità.

Questa configurazione ibrida ha inevitabilmente generato incertezze e dibattiti nel panorama giuridico, in particolare riguardo alla natura degli strumenti normativi con cui questi enti gestiscono il complesso rapporto previdenziale con i propri iscritti. Il D. Lgs. 509/1994 ha genericamente attribuito loro il potere di adottare “provvedimenti (non meglio precisati)”. Tuttavia, l’evoluzione normativa successiva (come la L. 335/1995 e la L. 296/2006) e l’interpretazione giurisprudenziale hanno riconosciuto l’esistenza di un potere “latu sensu normativo”.

La questione centrale e tuttora controversa riguarda proprio la natura giuridica di questi atti. Sono equiparabili a fonti secondarie del diritto, capaci persino di abrogare leggi? Sono semplici atti negoziali di diritto privato, con mera efficacia contrattuale? O si collocano in un regime giuridico particolare, espressione dell’esercizio privato di funzioni pubbliche?

Questo elaborato si propone di analizzare tale dibattito, esplorando le diverse teorie, i principi che governano l’azione delle Casse privatizzate e gli orientamenti della giurisprudenza, con particolare attenzione alla Cassa forense.

1: La privatizzazione e la natura ibrida degli enti

Il processo di privatizzazione delle Casse di previdenza e assistenza per i liberi professionisti, avviato dal D. Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, ha rappresentato un momento di svolta nel sistema previdenziale italiano. Enti che in precedenza erano qualificati come pubblici sono stati trasformati in soggetti con personalità giuridica di diritto privato. Questa trasformazione, tuttavia, non ha comportato una completa “privatizzazione” nel senso tradizionale del termine.

La dottrina e la giurisprudenza hanno spesso definito questa privatizzazione come “debole” o meramente “formale”. Nonostante l’acquisizione di una veste giuridica privata (fondazione o associazione), la natura pubblica dell’attività istituzionale è stata preservata. Le Casse continuano a svolgere un’attività doverosa di interesse generale: garantire la previdenza e l’assistenza obbligatoria a specifiche categorie professionali.

La continuità con il precedente ente pubblico si manifesta in diversi aspetti: la conservazione della titolarità dei rapporti attivi e passivi, del patrimonio, e soprattutto, delle finalità istitutive. Permane l’obbligo di iscrizione e contribuzione da parte dei professionisti beneficiari.

Un elemento fondamentale che evidenzia la natura non pienamente privatistica di questi enti è la sottoposizione a stringenti controlli pubblici. Essi sono soggetti alla vigilanza ministeriale e al controllo della Corte dei Conti sulla gestione, finalizzato ad assicurarne la legalità e l’efficacia. Inoltre, le Casse privatizzate sono state incluse nell’elenco Istat delle pubbliche amministrazioni per specifici fini, con conseguente applicazione di alcune normative tipiche del settore pubblico, come quelle in materia di spending review. Sebbene alcune di queste applicazioni (come il prelievo forzoso sui risparmi) siano state dichiarate incostituzionali, l’inclusione nell’elenco Istat sottolinea la percezione pubblica della loro natura.

Questa particolare configurazione rientra nel fenomeno più ampio dell’esercizio privato di funzioni o servizi pubblici. La legge impone direttamente al soggetto privato il dovere di curare un interesse generale. Ciò comporta l’applicazione di un regime giuridico misto, in cui regole pubblicistiche si innestano sulla base privatistica, derogando spesso al codice civile per quanto necessario a garantire il perseguimento del fine pubblico. L’ente non è libero di scegliere i propri fini, essendo la sua attività istituzionale doverosa e imposta dalla legge.

In sintesi, le Casse privatizzate sono soggetti ibridi, entità di diritto privato (nella forma) che esercitano un’attività di diritto pubblico (nella sostanza), soggette a un regime giuridico particolare che riflette questa dualità.

2: Il riconoscimento del potere normativo

Il D. Lgs. 509/1994, nel conferire autonomia gestionale, organizzativa e contabile, attribuì alle Casse il potere di adottare “provvedimenti” necessari a garantire l’equilibrio finanziario di lungo termine. Inizialmente, l’interpretazione di tale potere fu piuttosto restrittiva. Si riteneva che l’autonomia regolamentare fosse limitata agli spazi già previsti dalla legislazione previgente e che la funzione previdenziale rimanesse essenzialmente in capo allo Stato, con gli enti privatizzati meri “gestori”.

Tuttavia, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha portato al riconoscimento, ormai sostanzialmente indiscusso, di un potere “latu sensu normativo” in capo alle Casse privatizzate. Un passaggio chiave in questo percorso è rappresentato dall’art. 3, comma 12, della Legge 8 agosto 1995, n. 335. Questa norma ha delineato, seppur in modo iniziale, gli ambiti di intervento discrezionale degli enti, pur fissando disposizioni imperative da rispettare. Sebbene una prima lettura potesse far pensare a un catalogo “a numero chiuso” dei provvedimenti adottabili, l’inciso finale della norma, che consente l'”introduzione di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico”, ha suggerito un catalogo aperto di opzioni, purché le modifiche incidessero sulla determinazione della pensione.

Successivi interventi, come l’art. 1, comma 763, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge Finanziaria 2007), hanno ulteriormente rafforzato e definito l’autonomia delle Casse. La logica che sottende l’attribuzione di questo potere normativo è strettamente legata al principio dell’autofinanziamento. Poiché le Casse non ricevono finanziamenti diretti dallo Stato, la loro sostenibilità economico-finanziaria di lungo termine dipende dalla capacità di adeguare i flussi contributivi e le prestazioni erogate. La responsabilità di garantire le prestazioni obbligatorie imposta agli enti privatizzati rende necessari dei margini di azione definiti per intervenire sulla disciplina del rapporto previdenziale.

In questo contesto, si è sviluppata la teoria della “sostanziale delegificazione”. L’idea è che il legislatore, con il D. Lgs. 509/1994 e le norme successive, abbia in sostanza affidato all’autonomia regolamentare degli enti la disciplina dei rapporti previdenziali obbligatori, pur nel rispetto dei limiti di legge. Questo potere di autoregolamentazione è considerato uno strumento essenziale per consentire alle Casse di adattare la propria disciplina alle mutevoli condizioni demografiche ed economiche e garantire l’equilibrio finanziario.

3: Le diverse interpretazioni sulla natura giuridica degli atti

Nonostante il riconoscimento di un potere normativo, la sua esatta natura giuridica rimane uno dei punti più dibattuti. Le principali teorie emerse nel corso degli anni tentano di collocare questi atti nel sistema delle fonti del diritto, ma nessuna appare esente da critiche:

3.1. L’orientamento pubblicistico: fonte secondaria e abrogazione

Una prima interpretazione, sostenuta da parte della dottrina e da alcuni orientamenti giurisprudenziali passati, qualifica i provvedimenti delle Casse privatizzate come fonti secondarie del diritto. Secondo questa visione, in virtù della “sostanziale delegificazione” operata dal legislatore, questi atti sarebbero dotati di una forza normativa tale da poter abrogare leggi previgenti nella materia di competenza (ad esempio, per la Cassa forense, la L. 576/1980). Questa teoria distingue tra atti che riguardano l’attività istituzionale (considerati pubblicistici e regolamentari) e atti relativi all’organizzazione interna (considerati privatistici e negoziali).

Questa impostazione si scontra tuttavia con principi costituzionali fondamentali. La funzione previdenziale obbligatoria è riservata allo Stato (art. 38, commi 2 e 4 Cost.). Inoltre, le modifiche al Titolo V della Costituzione (L. Cost. 3/2001) hanno attribuito la legislazione esclusiva in materia di previdenza sociale allo Stato (art. 117, comma 2, lett. o). Riconoscere a enti privati un potere abrogativo nei confronti di leggi statali appare difficilmente compatibile con tale ripartizione di competenze e con la gerarchia delle fonti.

3.2. L’orientamento privatistico: atto negoziale e deroga

Un orientamento più recente e che ha trovato un consolidato sostegno nella Corte di Cassazione, tende a qualificare gli atti con cui le Casse esercitano la loro potestà regolamentare come atti di natura privatistica e negoziale. La logica di fondo è che un soggetto con natura giuridica privata, come una fondazione, debba necessariamente agire con strumenti propri di tale natura, anche quando persegue un interesse pubblico. Il carattere pubblicistico deriva dalla natura dell’interesse perseguito, non dagli strumenti utilizzati.

Secondo questa teoria, gli atti delle Casse non hanno il potere di abrogare le leggi, ma possono derogare ad esse. Tale deroga è legittima e possibile solo nella misura in cui sia indispensabile per garantire l’equilibrio finanziario di lungo periodo dell’ente, nel rispetto dei limiti di legge e dei principi cardine. Questo potere di deroga può spingersi fino a incidere, anche in senso peggiorativo, sulle posizioni giuridiche degli iscritti, se ciò è necessario per la sostenibilità del sistema.

Questa visione rifiuta l’idea che la natura pubblica dell’attività snaturi la forma privata degli atti. Anche gli atti che determinano i contributi o le prestazioni dovrebbero essere considerati, in quest’ottica, come espressione di autonomia negoziale. La giurisprudenza di Cassazione ha progressivamente consolidato questo orientamento.

3.3. La prospettiva ibrida: regime giuridico particolare

Molti interpreti, pur riconoscendo il prevalente orientamento privatistico della Cassazione, osservano che nessuna delle teorie estreme sembra cogliere appieno la complessità del fenomeno. La qualificazione degli enti come soggetti che realizzano un “esercizio privato di funzioni pubbliche” suggerisce l’applicazione di un regime giuridico misto o particolare.

Secondo questa prospettiva, gli atti che incidono sul rapporto previdenziale obbligatorio degli iscritti, pur essendo formalmente emanati da un soggetto privato, non possono essere tout court equiparati a meri atti negoziali privati. Essi possiedono la capacità di incidere unilateralmente sulle posizioni giuridiche degli iscritti e sono intrinsecamente legati alla finalità pubblica perseguita dall’ente.

Di conseguenza, tali atti si collocano in un regime giuridico speciale che deve armonizzare gli elementi pubblicistici (necessari per garantire la funzione pubblica e la doverosità dell’azione) con le peculiarità del soggetto privato. Il regime giuridico applicabile, in questa visione, non dipende tanto dalla natura soggettiva dell’ente, quanto dalla doverosità dell’esercizio dell’attività istituzionale e dal contenuto del potere esercitato per perseguire l’interesse generale.

Questo approccio riconosce la necessità di deviazioni dal modello civilistico della fondazione o associazione, ma limita tali deviazioni a quanto strettamente necessario per adattare la forma privata alla funzione pubblica da perseguire.

4: Limiti e condizioni dell’esercizio del potere normativo

Il potere normativo o regolamentare delle Casse privatizzate, sebbene riconosciuto come essenziale per la loro sostenibilità, non è illimitato. È vincolato da una serie di limiti e condizioni stabiliti dalla legge e interpretati dalla giurisprudenza.

La base giuridica fondamentale per l’esercizio di tale potere è rappresentata dall’art. 3, comma 12, della L. n. 335/1995, successivamente modificato e integrato. Questa norma, interpretata come norma imperativa inderogabile dall’autonomia delle Casse secondo alcuni orientamenti, definisce gli strumenti a disposizione degli enti e i limiti entro cui possono operare.

Le modifiche regolamentari devono essere finalizzate a garantire la stabilità economico-finanziaria di lungo periodo. Questo obiettivo giustifica interventi anche “in senso peggiorativo” per gli iscritti rispetto al regime previgente, purché necessari a tutelare i livelli di finanziamento e gli equilibri del sistema.

Tuttavia, l’esercizio di tale potere è condizionato dal rispetto di principi fondamentali che mirano a bilanciare le esigenze di sostenibilità con la tutela degli iscritti. Tra questi principi spiccano:

Principio del pro-rata: garantisce che gli iscritti che si sono visti succedere sistemi di calcolo della pensione diversi durante il periodo di iscrizione abbiano diritto a quote di pensione determinate secondo le norme vigenti nei rispettivi periodi di maturazione. Sebbene l’interpretazione giurisprudenziale di questo principio sia evoluta, esso rimane un limite all’introduzione di modifiche retroattive o eccessivamente penalizzanti per i diritti maturati.

Principio di gradualità: le modifiche che incidono negativamente sulle posizioni degli iscritti devono essere introdotte gradualmente, per consentire agli interessati di adattarsi e ridurre l’impatto.

Principio di equità intergenerazionale: le decisioni della Cassa devono bilanciare gli interessi delle diverse generazioni di iscritti (attuali pensionati, lavoratori prossimi alla pensione, giovani professionisti), evitando che il peso della sostenibilità gravi in modo eccessivo su una sola coorte.

Un ulteriore limite deriva dal ruolo dello Stato quale garante ultimo della funzione previdenziale (Art. 38 Cost.). Sebbene le Casse abbiano autonomia, lo Stato mantiene un potere di vigilanza e intervento. In caso di disavanzo persistente e incapacità dell’ente di porvi rimedio, la legge prevede persino l’avocazione della gestione allo Stato per la liquidazione. Ciò conferma che la funzione previdenziale, pur gestita da privati, resta un interesse pubblico la cui garanzia ultima spetta allo Stato.

Inoltre, l’applicazione di normative pubblicistiche (come quelle su trasparenza, controlli, o persino quelle derivanti dall’inclusione nell’elenco Istat), pur con le peculiarità legate alla natura privata del soggetto, funge da ulteriore vincolo all’autonomia.

5: Gli orientamenti giurisprudenziali

La giurisprudenza ha giocato un ruolo fondamentale nel definire la natura e i limiti del potere normativo delle Casse privatizzate, riflettendo e talvolta guidando l’evoluzione interpretativa.

La Corte di Cassazione, in particolare la Sezione Lavoro, ha progressivamente consolidato l’orientamento che qualifica gli atti regolamentari delle Casse come atti di natura privatistica e negoziale. Numerose pronunce (tra cui si possono citare, a titolo esemplificativo e non esaustivo, Cass. Civ., Sez. Lav., 25 agosto 2020, n. 177025671; Cass. Civ., Sez. Lav., 18 gennaio 2021, n. 694, ord.85; Cass. Civ., Sez. Lav., 12 giugno 2023, n. 16586, ord.1285) hanno ribadito che l’ente di diritto privato agisce con strumenti propri di tale diritto, pur perseguendo un interesse pubblico. Secondo questo filone, la deroga alla legge è possibile se necessaria per la sostenibilità finanziaria, purché nel rispetto dei limiti legali (L. 335/95, ecc.) e dei principi come il pro-rata, gradualità ed equità intergenerazionale.

La Corte Costituzionale si è pronunciata più volte sulla natura e il ruolo delle Casse privatizzate. Con la sentenza n. 248 del 1997, la Corte ha esaminato il D. Lgs. 509/1994, riconoscendo la permanenza della natura di servizio pubblico delle attività svolte nonostante la privatizzazione formale, la persistenza dei controlli ministeriali e della Corte dei Conti, e l’obbligatorietà dell’iscrizione e contribuzione. La Corte ha affermato che il finanziamento (anche indiretto tramite obbligo di iscrizione e contribuzione) configura un sistema di finanziamento pubblico. Successivamente, con la sentenza n. 7 del 2017, la Corte Costituzionale ha riordinato principi importanti, sottolineando che la tutela degli equilibri finanziari della Cassa è strumentale alla garanzia delle posizioni previdenziali degli iscritti (Art. 38, comma 2, Cost.).

Il Consiglio di Stato si è concentrato maggiormente sulla qualificazione soggettiva degli enti privatizzati, riconoscendo che, nonostante la personalità giuridica privata, essi possono presentare i requisiti di organismo di diritto pubblico in relazione a specifiche attività, come l’aggiudicazione di contratti (sottoponendoli, quindi, alle procedure ad evidenza pubblica). Le pronunce del Consiglio di Stato hanno confermato che la natura pubblicistica delle finalità giustifica l’applicazione di un regime misto, pur ribadendo che la natura privata del soggetto rimane un punto fermo.

Nel complesso, la giurisprudenza riflette la tensione tra la forma privata dell’ente e la natura pubblica della funzione. Mentre la Cassazione tende a enfatizzare gli strumenti privatistici con capacità di deroga, la giurisprudenza amministrativa e costituzionale evidenziano i profili pubblicistici e il regime misto, riconoscendo i vincoli e i controlli che distinguono questi enti da soggetti privati puri.

6: Questioni aperte

Il processo di privatizzazione delle Casse di previdenza e assistenza è ancora, per molti aspetti, un processo in divenire. Nonostante siano trascorsi molti anni dal D. Lgs. 509/1994, la piena armonizzazione tra l’anima pubblica e quella privata degli enti, e la conseguente certezza sulla natura e la forza degli atti normativi che essi adottano, rappresenta ancora una sfida aperta nel diritto previdenziale.

Permangono numerosi interrogativi e aree di incertezza. La definizione precisa dei confini del potere normativo delle Casse e la sua corretta collocazione nel sistema delle fonti del diritto sono questioni ancora dibattute. Trovare il giusto equilibrio tra l’autonomia gestionale e regolamentare necessaria agli enti per garantire la propria sostenibilità nel lungo termine e la tutela dell’interesse pubblico (la garanzia delle prestazioni previdenziali) e dei diritti degli iscritti rimane l’obiettivo principale della ricerca giuridica e dell’attività giurisprudenziale.

Si percepisce a volte una “egemonia” dello Stato che, attraverso interventi legislativi o interpretazioni restrittive, sembra voler limitare l’autonomia degli enti, nonostante l’autonomia fosse una delle ragioni fondamentali alla base della scelta di privatizzazione. Questa tensione tra controllo statale e autonomia degli enti ibridi continuerà probabilmente ad essere una caratteristica distintiva del sistema.

La complessità intrinseca derivante dalla commistione tra elementi pubblicistici e privatistici rende difficile l’applicazione di categorie giuridiche tradizionali. La prospettiva dell'”esercizio privato di funzioni pubbliche” e l’idea di un regime giuridico particolare e misto sembrano le più adatte a cogliere la realtà di questi enti e dei loro atti. Tuttavia, la precisa definizione di questo regime misto e le regole che lo governano sono ancora in corso di elaborazione da parte della dottrina e della giurisprudenza.

In conclusione, la natura giuridica degli atti normativi delle Casse privatizzate non è una questione di mera classificazione teorica, ma ha dirette ripercussioni sulla certezza del diritto per milioni di professionisti italiani, incidendo sulla determinazione dei loro contributi e delle loro future prestazioni previdenziali.

Conclusioni

La privatizzazione delle Casse di previdenza per i liberi professionisti ha dato vita a soggetti giuridici complessi e ibridi, caratterizzati da una natura formale privata e una finalità sostanziale pubblica. Il loro potere di autoregolamentazione è uno strumento essenziale per garantire la sostenibilità finanziaria nel lungo periodo, in linea con il principio dell’autofinanziamento.

La natura giuridica degli atti con cui esercitano tale potere rimane oggetto di dibattito. Se la teoria della fonte secondaria (con potere abrogativo) appare poco compatibile con i principi costituzionali sulla riserva allo Stato della funzione e della legislazione previdenziale, l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione li qualifica come atti di natura privatistica/negoziale, capaci di derogare alla legge se necessario per la stabilità, nel rispetto dei limiti e principi come il pro-rata, gradualità ed equità intergenerazionale.

Una visione più sfumata e, forse, più aderente alla realtà complessa di questi enti, suggerisce che gli atti che incidono sul rapporto previdenziale obbligatorio si collochino in un regime giuridico particolare e misto, espressione dell’esercizio privato di funzioni pubbliche.


Bibliografia

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