Il caso in questione riguarda un dipendente che, opponendosi ad alcune modalità organizzative adottate dall’azienda durante il periodo pandemico, aveva espresso critiche ritenendo tali modalità non conformi ai protocolli di sicurezza anti-Covid. La vicenda aveva originato uno scambio di comunicazioni tra il lavoratore e l’amministrazione aziendale, culminando in una segnalazione al comitato anticovid interno. Il dipendente aveva giustificato il proprio operato richiamandosi al codice etico aziendale e al legittimo esercizio dell’attività di whistleblowing.
Ciò nonostante, l’azienda aveva contestato disciplinarmente tale condotta, giungendo al licenziamento del dipendente.
Un aspetto centrale del caso ha riguardato la qualificazione della condotta del dipendente come attività di whistleblowing. La normativa vigente tutela i lavoratori che segnalano, in buona fede e con modalità appropriate, comportamenti illeciti o in contrasto con il codice etico aziendale.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 10864 del 24 aprile 2025) ha riconosciuto che la segnalazione del lavoratore al comitato anticovid era finalizzata a verificare il rispetto dei protocolli di sicurezza. Poiché il comportamento non presentava intenti lesivi né espressioni offensive gratuite, rientrava nell’ambito della legittima attività di whistleblowing, meritevole di protezione.
La Corte ha stabilito che il comportamento del dipendente, sebbene caratterizzato da toni accesi, era giustificato dall’intento di tutelare la sicurezza sul lavoro e di richiamare l’attenzione su possibili carenze aziendali. Non essendo emersi elementi di gratuità o volontà lesiva, la Corte ha accolto il ricorso, disponendo la reintegrazione del dipendente e il risarcimento del danno.
La Corte ha ribadito che il diritto di critica è sancito dalla Costituzione e da normative europee, come l’art. 21 della Costituzione italiana, l’art. 10 della CEDU e l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Tuttavia, tale diritto non è illimitato e deve rispettare precisi criteri: continenza formale e sostanziale, pertinenza delle affermazioni e veridicità dei fatti.
È stato sottolineato che la critica, pur essendo espressione di dissenso, non può degenerare in un attacco gratuito e distruttivo all’onore e alla reputazione del destinatario. In ambito lavorativo, il diritto di critica è considerato legittimo se volto a salvaguardare interessi rilevanti, quali la sicurezza sul lavoro o il rispetto delle normative aziendali, e se esercitato con modalità rispettose e proporzionate.
Il caso evidenzia l’importanza di trovare un equilibrio tra il diritto di critica e la tutela del whistleblower, da un lato, e il rispetto dei rapporti lavorativi, dall’altro. La giurisprudenza sottolinea come la libertà di espressione debba essere esercitata con responsabilità, senza superare i limiti di continenza e pertinenza, ma al contempo riconosce l’esigenza di proteggere i lavoratori che, agendo in buona fede, segnalano situazioni critiche o potenzialmente pericolose.

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