La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12971 depositata il 14 maggio 2025, ha affrontato un caso di discriminazione per motivi di nazionalità riguardante l’erogazione di un premio alla nascita o all’adozione, previsto dall’art. 1, comma 353, della legge 11 dicembre 2016, n. 232. Il contenzioso ha avuto origine dalla decisione della Corte d’Appello di Milano che aveva confermato il giudizio del Tribunale, dichiarando discriminatoria la condotta dell’INPS, che aveva introdotto requisiti non previsti dalla legge e legati alla nazionalità per la concessione del premio.
Fatti di causa
Nel caso di specie, l’INPS aveva limitato l’erogazione del premio alle donne in possesso di specifici permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, escludendo così molte donne straniere presenti in Italia. Le associazioni ricorrenti, quali A.P.N. Avvocati per niente Onlus, Fondazione Pi.Gu., ASGI e altre, avevano contestato la legittimità di tale comportamento, ritenendolo discriminatorio per motivi di nazionalità.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 617 del 2018, aveva rigettato il ricorso dell’INPS, confermando la natura discriminatoria della condotta e riconoscendo la legittimazione ad agire delle associazioni ricorrenti sulla base di precedenti giurisprudenziali della Cassazione.
Motivi del ricorso e decisione della Cassazione
L’INPS ha impugnato la sentenza d’appello con due motivi principali:
- Contestazione della legittimazione ad agire delle associazioni ricorrenti per discriminazione collettiva fondata sulla nazionalità, sostenendo che tale legittimazione sarebbe limitata alle sole discriminazioni in ambito lavorativo o per motivi razziali ed etnici, escludendo quindi i casi extralavorativi come quello in esame.
- Contestazione della qualificazione come discriminatoria della condotta INPS, argomentando che le circolari adottate dall’Istituto avevano dato attuazione corretta alla normativa primaria e che la differenziazione basata sul possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo fosse giustificata da ragioni di politica sociale e da precedenti normative.
La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, affermando che:
- Le associazioni ricorrenti hanno piena legittimazione ad agire per discriminazioni collettive fondate sulla nazionalità, anche in ambito extralavorativo, sulla base di una interpretazione sistematica delle norme vigenti (D.Lgs. n. 215/2003, D.Lgs. n. 286/1998) e della giurisprudenza consolidata, anche europea. La discriminazione per nazionalità è equiparata, in termini di tutela giurisdizionale, ad altre forme di discriminazione e non può essere esclusa la legittimazione collettiva ad agire.
- Le circolari INPS che hanno introdotto limitazioni nel riconoscimento del premio, basate sul possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, hanno illegittimamente modificato i requisiti previsti dalla legge primaria, creando una disparità di trattamento ingiustificata e discriminatoria nei confronti delle donne straniere non in possesso di tale permesso.
- Il principio di parità di trattamento previsto dal diritto dell’Unione Europea e la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE escludono deroghe arbitrarie e giustificano una tutela efficace contro discriminazioni di questo tipo.
- L’errore eventualmente commesso dall’INPS nell’interpretazione della normativa non è scusabile perché la legge non prevede alcun requisito relativo alla nazionalità o al tipo di permesso di soggiorno per la concessione del premio.
La sentenza conferma la necessità di rispettare i principi costituzionali e comunitari di non discriminazione e parità di trattamento, anche in ambito extralavorativo e in relazione a prestazioni sociali come il premio alla nascita. Essa sottolinea l’importanza della legittimazione collettiva ad agire contro discriminazioni fondate sulla nazionalità, riconoscendo alle associazioni dedicate una funzione essenziale di tutela dei diritti collettivi.
Inoltre, la pronuncia ribadisce il principio gerarchico delle fonti del diritto, secondo cui le circolari amministrative non possono introdurre requisiti o limitazioni non previsti dalla legge, pena la violazione dei diritti riconosciuti.
Rimangono confermate le spese legali a carico del ricorrente e l’obbligo di versamento di un ulteriore contributo unificato per l’impugnazione.
In sintesi, la Cassazione, con la sentenza n. 12971/2025, ha affermato il diritto alla parità di trattamento per tutte le donne residenti in Italia in relazione al premio alla nascita, contrastando pratiche discriminatorie basate su requisiti di nazionalità o permessi di soggiorno non previsti dalla legge.