Archivio mensile Giugno 6, 2025

DiAnnamaria Palumbo

Algoritmi e Trasparenza: il diritto di sapere chi ti valuta

1. Introduzione: quando è un algoritmo a decidere
Sempre più spesso, nel mondo del lavoro, decisioni fondamentali che riguardano il lavoratore non sono più prese da una persona fisica, ma da un sistema automatizzato. Dall’assunzione alla valutazione delle performance, fino alla pianificazione dei turni o alla gestione disciplinare, l’algoritmo diventa un “nuovo datore di lavoro invisibile”.

Questa progressiva automazione, se non correttamente regolamentata, rischia di generare dinamiche opache, discriminatorie e lesive della dignità del lavoratore. Per questo motivo, la trasparenza algoritmica non è più solo una sfida tecnologica, ma un dovere giuridico. Essa si colloca al crocevia tra diritto del lavoro, protezione dei dati personali e principi costituzionali di eguaglianza, autodeterminazione e partecipazione.

2. Lavoro e algoritmi: applicazioni e rischi
Le tecnologie basate su intelligenza artificiale, machine learning e data analytics vengono ormai impiegate in moltissimi ambiti della gestione del personale. Le principali applicazioni si registrano in:

  • Recruiting e selezione: algoritmi di screening automatico analizzano CV e lettere motivazionali per filtrare candidati;
  • Performance management: tool digitali valutano produttività, comportamenti, interazioni online;
  • Organizzazione del lavoro: sistemi di scheduling automatizzano l’assegnazione dei turni;
  • Disciplinare e compliance: analisi comportamentale e indicatori di rischio generano alert automatici.

Queste tecnologie, se non governate con criteri di equità, accountability e spiegabilità, possono introdurre bias sistemici, trattamenti discriminatori o decisioni arbitrarie.

3. Il quadro giuridico: trasparenza, controllo umano, tutela dei diritti

3.1. Articolo 22 del GDPR: profilazione e decisioni automatizzate
Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (Reg. UE 2016/679) vieta in linea di principio le decisioni basate esclusivamente su trattamenti automatizzati, qualora queste abbiano effetti giuridici rilevanti o impatti significativi sulla persona.

Nel contesto lavorativo, questo significa che:

  • un algoritmo non può decidere autonomamente un’assunzione, una promozione o una sanzione;
  • deve essere garantito l’intervento umano, la possibilità di esprimere il proprio punto di vista e di contestare la decisione (art. 22.3);
  • il datore di lavoro deve fornire informazioni significative sulla logica utilizzata, l’importanza e le conseguenze previste del trattamento.

3.2. Principi generali del GDPR: trasparenza, minimizzazione, liceità
Oltre all’art. 22, trovano applicazione gli articoli 5, 13 e 14 del GDPR:

  • ogni trattamento deve essere trasparente, lecito e proporzionato;
  • devono essere indicate finalità, base giuridica, logiche applicate e diritti dell’interessato;
  • l’informativa deve essere redatta in modo chiaro, accessibile e intelligibile anche ai non esperti.

3.3. Articolo 88 GDPR e diritto del lavoro
L’art. 88 consente agli Stati membri di introdurre norme più specifiche in materia di trattamento dati nei rapporti di lavoro. In Italia, il D.Lgs. 101/2018 non ha ancora sviluppato pienamente questo potenziale. La disciplina applicabile resta frammentaria e poco efficace nel contrastare l’opacità algoritmica.

3.4. Articolo 4 Statuto dei lavoratori (L. 300/1970)
L’uso di strumenti tecnologici per il controllo dell’attività lavorativa è consentito solo se:

  • giustificato da esigenze organizzative o di sicurezza;
  • installato previo accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro;
  • il lavoratore è informato adeguatamente.

Questa disposizione si applica anche agli algoritmi che elaborano dati raccolti tramite badge, GPS, software gestionali, piattaforme digitali.

4. Giurisprudenza e orientamenti europei

4.1. Corte di Amsterdam – Deliveroo (2021)
La Corte ha stabilito che il sistema di gestione dei rider utilizzato da Deliveroo, basato su un algoritmo chiamato “Frank”, non garantiva trasparenza sufficiente. I giudici hanno richiesto la disclosure delle logiche decisionali e la possibilità di controllo umano, ai sensi dell’art. 22 GDPR.

4.2. CNIL – Linee guida su algoritmi HR (2022)
L’Autorità francese ha pubblicato una guida per l’uso etico e conforme degli algoritmi nelle risorse umane. Tra le raccomandazioni:

  • indicare chiaramente se un sistema è automatizzato;
  • spiegare logiche e impatti con linguaggio comprensibile;
  • garantire l’intervento umano in ogni decisione rilevante.

4.3. Garante Privacy (Italia) – Newsletter 491/2023
Il Garante ha ricordato che ogni sistema automatizzato usato per valutazioni professionali è soggetto a valutazione d’impatto (DPIA) e deve prevedere adeguate misure di mitigazione del rischio, inclusa la trasparenza e la consultabilità dei criteri decisionali.

5. Policy aziendali e linee guida operative

5.1. Mappatura degli algoritmi

  • Creare un inventario aggiornato degli strumenti automatizzati utilizzati in ambito HR;
  • Classificarli per finalità, impatto, grado di automazione, base giuridica.

5.2. Valutazione d’impatto (DPIA)

  • Obbligatoria per trattamenti ad alto rischio (es. profilazione, AI);
  • Deve identificare finalità, logiche, rischi e misure di mitigazione;
  • Da aggiornare regolarmente.

5.3. Clausole di trasparenza e controllo umano

  • Prevedere clausole contrattuali e informative chiare sull’uso degli algoritmi;
  • Integrare controlli umani effettivi e tempestivi;
  • Assicurare diritto di accesso, rettifica e contestazione da parte del lavoratore.

6. Conclusione: trasparenza algoritmica come nuova frontiera del diritto del lavoro
L’intelligenza artificiale e l’automazione non sono neutre. Riflettono scelte umane, priorità organizzative, bias culturali. È compito del diritto assicurare che queste tecnologie non compromettano la libertà e la dignità del lavoratore.

La trasparenza, l’accountability e la partecipazione devono essere i pilastri di ogni governance algoritmica. Non basta “informare”: occorre rendere comprensibile, contestabile e migliorabile ogni sistema che incida su persone e carriere.


7. Fonti consigliate (open access)

  • De Gregorio, G., Algoritmi e potere: decisioni automatizzate e diritti fondamentali, in “European Journal of Privacy Law & Technologies”, 2021, n. 1.
  • Floridi, L., Translating Principles into Practices of Digital Ethics: Five Risks of Being Unethical, in “Philosophy & Technology”, 2019, vol. 32.
  • Garante per la protezione dei dati personali, Newsletter n. 491/2023.
  • CNIL, Guidelines on Algorithms in Employment, 2022.
  • Court of Amsterdam, Deliveroo case, ECLI:NL:RBAMS:2021:7649.

Giugno 2025

DiAnnamaria Palumbo

L’iscrizione all’albo professionale comporta l’obbligo di solidarietà professionale, Cassazione civile sez. lav., 25/04/2025, n. 10908

La recente sentenza della Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, n. 10908 del 25 aprile 2025, ha chiarito un importante principio in materia di previdenza dei liberi professionisti. In particolare, la Corte ha stabilito che l’iscrizione all’albo professionale, indipendentemente dalla continuità o occasionalità dell’esercizio della professione e dalla produzione di reddito, impone l’obbligo di solidarietà professionale. Tale obbligo si traduce nel versamento di una contribuzione minima agli enti previdenziali di categoria.

Il caso e la decisione

La vicenda riguarda un geometra che, pur iscritto all’albo professionale, aveva contestato una cartella di pagamento emessa dalla Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza Geometri (CIPAG) relativa agli anni 2009, 2012 e 2013. Il professionista sosteneva di non aver svolto attività professionale continuativa, ma solo occasionale, e di essere iscritto al fondo commercio INPS come socio d’opera di una società, pertanto riteneva di non dover versare i contributi richiesti dalla CIPAG.

Tuttavia, la Corte d’Appello di Bologna aveva respinto la sua opposizione, confermando che la mera iscrizione all’albo comporta l’obbligo di iscrizione alla Cassa di previdenza di categoria e il versamento della contribuzione minima, anche in assenza di attività continuativa o reddito prodotto.

Il ricorso della CIPAG in Cassazione è stato accolto, ribadendo che l’iscrizione all’albo professionale è il requisito decisivo per l’obbligo contributivo, che permane anche in presenza di iscrizione ad altre gestioni previdenziali INPS. La contribuzione minima ha una funzione solidaristica e non è condizionata alla produzione di reddito.

Fondamenti giuridici

La Corte ha richiamato diverse norme e principi, tra cui la legge delega n. 537/93, la legge n. 509/94, la legge n. 335/95 sulla riforma pensionistica, e lo Statuto della CIPAG. Ha sottolineato che le modifiche normative hanno conferito alle Casse previdenziali autonomia nell’individuazione dei soggetti obbligati, in linea con il principio di solidarietà e con l’obiettivo di garantire l’equilibrio finanziario a lungo termine degli enti.

In particolare, la sentenza conferma che:

  • L’iscrizione all’albo professionale comporta l’obbligo di iscrizione alla Cassa previdenziale di categoria.
  • L’obbligo contributivo si applica anche in caso di attività professionale svolta in maniera occasionale o saltuaria.
  • La mancata produzione di reddito non esclude l’obbligo contributivo.
  • L’iscrizione ad altra gestione INPS non esonera dal versamento alla Cassa di categoria.
  • La contribuzione minima ha una funzione solidaristica, senza corrispettività diretta tra contributi versati e prestazioni ricevute.

Implicazioni per i professionisti

Questa pronuncia rappresenta un importante chiarimento per tutti i liberi professionisti iscritti agli albi professionali. Anche chi esercita la professione in modo saltuario o occasionale è tenuto a versare la contribuzione minima alla propria Cassa previdenziale, a prescindere dal reddito prodotto o da eventuali iscrizioni ad altre gestioni previdenziali.

Il principio di solidarietà professionale, sancito dalla Corte, mira a sostenere la sostenibilità finanziaria delle casse di categoria, garantendo un sistema previdenziale equilibrato e duraturo nel tempo.

Professionisti e consulenti dovranno pertanto tenere conto di questi principi nell’ambito della gestione previdenziale, evitando di sottrarsi agli obblighi contributivi che derivano dalla semplice appartenenza all’albo professionale.

DiAnnamaria Palumbo

La disconnessione negata: il lavoro invade la notte

1. Introduzione: il lavoro che non dorme mai
Un’e-mail ricevuta alle 23:18. Una risposta alle 23:20. Un messaggio Slack che notifica un’attività alle 2:05. Scene comuni, spesso normalizzate, in moltissime realtà aziendali. Eppure, in queste dinamiche apparentemente quotidiane si cela la violazione di uno dei diritti fondamentali della persona: il diritto al riposo.

Il diritto alla disconnessione, nella sua espressione giuridica più piena, rappresenta l’ultima frontiera della tutela del tempo del lavoratore nell’era digitale. Nato per proteggere l’integrità psico-fisica del dipendente, si confronta oggi con una realtà in cui gli strumenti digitali e i modelli organizzativi asincroni rendono sempre più labile il confine tra lavoro e vita privata.

2. La nuova patologia dell’iperconnessione
Il termine work bleeding – letteralmente “sanguinamento del lavoro” – descrive bene il fenomeno della sovrapposizione continua tra tempi di vita e tempi di lavoro. Non si tratta più solo di straordinario non retribuito, ma di una forma di disponibilità permanente, spesso implicita, richiesta dal datore o autoinflitta dal lavoratore stesso in nome della performance.

Numerosi studi confermano che l’iperconnessione cronica è una causa rilevante di stress, disturbi del sonno, ansia e burnout. Ma a fronte di questi dati, la cultura del lavoro in molti contesti continua a premiare la reperibilità oltre l’orario, l’efficienza immediata, la “prontezza digitale”.

3. Il diritto alla disconnessione: inquadramento normativo

3.1. Ordinamento italiano
Il diritto alla disconnessione è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento con la Legge n. 81 del 22 maggio 2017, relativa al lavoro agile. L’art. 19 stabilisce che l’accordo tra le parti debba individuare anche le modalità di esercizio del diritto alla disconnessione.

Tuttavia, l’assenza di un dettaglio operativo, la mancata previsione di sanzioni e la non obbligatorietà di un contenuto minimo rendono la norma inefficace nella prassi. Anche il D.Lgs. n. 66/2003, relativo alla durata dell’orario di lavoro, non appare adeguato ad affrontare le sfide del lavoro digitale.

3.2. Livello europeo e comparato
Nel contesto dell’Unione Europea, il Parlamento ha approvato il 21 gennaio 2021 una risoluzione con cui invita la Commissione a presentare una proposta di direttiva sul diritto alla disconnessione, riconoscendo che la mancanza di tale diritto incide sul benessere, la salute e i diritti fondamentali dei lavoratori.

In alcuni Stati membri sono state adottate misure significative:

  • Francia: Legge El Khomri (2016), obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti di regolare il diritto alla disconnessione tramite contrattazione collettiva;
  • Spagna: Legge Organica 3/2018 sulla protezione dei dati personali e la garanzia dei diritti digitali;
  • Belgio: Accordi interprofessionali (2018) in materia di diritto al riposo digitale.

4. Profili di responsabilità datoriale

4.1. Responsabilità contrattuale e civile
Il datore di lavoro che non garantisce un adeguato sistema di disconnessione può incorrere in responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligo di tutela della salute (art. 2087 c.c.) e in responsabilità civile per i danni derivanti da iperconnessione prolungata (danno biologico, esistenziale e patrimoniale).

4.2. Responsabilità amministrativa e penale
La violazione delle norme sull’orario di lavoro (D.Lgs. 66/2003) e sull’obbligo informativo (D.Lgs. 81/2008) può dar luogo a sanzioni amministrative. In ipotesi estreme, in cui il lavoratore subisca conseguenze psico-fisiche rilevanti, si può profilare l’ipotesi di maltrattamenti in ambito lavorativo ex art. 572 c.p.

5. Proposte operative e policy aziendali
Le aziende devono passare da una logica dichiarativa a una logica attuativa. Alcune misure suggerite:

  • Clausole contrattuali specifiche sull’orario di reperibilità;
  • Sistemi automatici di blocco delle comunicazioni (es. fuori orario);
  • Formazione obbligatoria per dirigenti e quadri sul rispetto della disconnessione;
  • Monitoraggio dei carichi di lavoro e delle ore di connessione attraverso strumenti IT;
  • Integrazione del diritto alla disconnessione nei Modelli 231 come presidio del benessere organizzativo.

6. Conclusioni
Il diritto alla disconnessione è un diritto che non si può più ignorare. Non solo perché lo impone la legge, ma perché lo richiede la trasformazione culturale del lavoro contemporaneo.

Nel bilanciamento tra flessibilità organizzativa e dignità della persona, il tempo è diventato la risorsa più esposta a erosione. Ristabilirne i confini non è solo una questione giuridica, ma di civiltà.


Maggio 2025

DiAnnamaria Palumbo

Lavoro straordinario festivo del dipendente pubblico, ammessa la retribuzione anche in caso di autorizzazione implicita (Cassazione Civile Sez. Lav., 21/05/2025, n. 13661)

La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 13661 depositata il 21 maggio 2025, ha affrontato una questione molto dibattuta nel diritto del lavoro pubblico: la retribuzione del lavoro straordinario svolto nei giorni festivi anche in assenza di una specifica autorizzazione formale, purché tale autorizzazione risulti implicita.

Il caso riguardava un gruppo di dipendenti pubblici addetti ai servizi di vigilanza presso il Palazzo Reale di Caserta, che avevano richiesto il riconoscimento del diritto al pagamento delle ore di lavoro straordinario svolte fino al 31 dicembre 2017. Mentre la Corte d’Appello di Napoli aveva riconosciuto il diritto al pagamento dello straordinario nei giorni feriali, aveva invece rigettato la domanda relativa alle ore festive, ritenendo mancante una specifica autorizzazione.

La Cassazione ha riformato questo orientamento, riaffermando e chiarendo alcuni principi fondamentali:

  1. Autorizzazione implicita al lavoro straordinario
    Non è necessario che l’autorizzazione al lavoro straordinario, anche festivo, sia espressa in modo formale e specifico. Può essere sufficiente che sia implicita, cioè richiesta, conosciuta o tacitamente accettata dal datore di lavoro. L’autorizzazione implicita si desume dal contesto e dalle circostanze che dimostrano la consapevolezza e il consenso del datore di lavoro.
  2. Onere della prova e valutazioni del giudice
    L’accertamento dell’esistenza o meno di un’autorizzazione implicita rientra nelle valutazioni istruttorie e di merito, e non può essere escluso sulla base della mancata contestazione di fatti storici. L’autorizzazione può essere dedotta dal complesso degli elementi probatori, inclusa l’organizzazione del servizio e la necessità dell’attività lavorativa nei giorni festivi.
  3. Principi giurisprudenziali consolidati
    La Cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza recente (Cass. 27 luglio 2022, n. 23506; Cass. 23 giugno 2023, n. 18063) secondo cui il lavoro straordinario è compensabile anche se l’autorizzazione è illegittima o contraria a disposizioni contrattuali, purché il lavoro non sia svolto insciente o prohibente domino, ossia senza il consenso del datore di lavoro.
  4. Rinvio per nuovo esame
    La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, affinché valuti se il lavoro straordinario festivo svolto rientri effettivamente nelle condizioni per essere riconosciuto e retribuito, in conformità con la contrattazione collettiva applicabile.

In conclusione, la decisione della Cassazione rappresenta un importante passo avanti nella tutela dei diritti dei dipendenti pubblici, sottolineando che il riconoscimento economico del lavoro straordinario festivo non può essere negato per il solo fatto che non vi sia stata un’autorizzazione formale espressa, se questa può essere desunta implicitamente dalle circostanze. Ciò garantisce un più equo bilanciamento tra le esigenze organizzative della pubblica amministrazione e i diritti dei lavoratori.


Riferimenti normativi e giurisprudenziali

  • Cass. 27 luglio 2022, n. 23506
  • Cass. 23 giugno 2023, n. 18063
  • Art. 26 CCNL comparto Funzioni Centrali 16 febbraio 1999
  • Artt. 115, 116, 132 c.p.c.
  • Art. 360 c.p.c.
  • Art. 36 e 111 Costituzione Italiana

La sentenza conferma l’importanza di un approccio sostanziale nella valutazione delle autorizzazioni al lavoro straordinario, anche in ambito pubblico, e chiarisce che il diritto alla retribuzione può fondarsi su una autorizzazione implicita, purché il lavoro non sia svolto in modo arbitrario né clandestino.