Reddito di Cittadinanza e requisiti di “Onorabilità”: la Cassazione fa chiarezza sul “patteggiamento”

DiAnnamaria Palumbo

Reddito di Cittadinanza e requisiti di “Onorabilità”: la Cassazione fa chiarezza sul “patteggiamento”

Nel panorama delle prestazioni assistenziali, il Reddito di Cittadinanza (RdC) ha rappresentato per anni una misura di sostegno fondamentale. La sua concessione, tuttavia, è sempre stata vincolata a stringenti requisiti, non solo economici, ma anche di condotta. Una recente e significativa pronuncia della Corte di Cassazione, l’Ordinanza n. 15688, depositata il 12 giugno 2025, getta nuova luce su un aspetto cruciale: l’impatto delle sentenze di applicazione della pena su richiesta (il cosiddetto “patteggiamento”) sull’accesso a questo beneficio.

Il caso in esame

La vicenda al centro della sentenza riguarda il signor [Omissis], al quale l’INPS aveva negato il Reddito di Cittadinanza. Il motivo del rifiuto era la sussistenza, nei dieci anni precedenti la domanda, di una condanna definitiva per uno dei reati previsti dall’articolo 7, comma 3, del D.L. n. 4/2019 (convertito con L. n. 26/2019), nel testo modificato dalla L. n. 234/2021.

La Corte d’Appello di Roma, in primo grado, aveva accolto la domanda del lavoratore. I giudici di merito avevano interpretato la normativa ritenendo che una sentenza di applicazione della pena su richiesta (ex art. 444 c.p.p.) fosse una causa di revoca del beneficio eventualmente già concesso, ma non un ostacolo alla sua concessione iniziale, in quanto non la consideravano una vera e propria “sentenza di condanna” ai fini dell’accesso.

L’intervento della Cassazione: quando il “patteggiamento” conta subito

L’INPS ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che l’interpretazione della Corte d’Appello fosse errata e denunciando la violazione degli artt. 2, comma 1, e 7, comma 3, D.L. n. 4/2019.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’INPS, fornendo una chiarificazione decisiva. Ha premesso che l’art. 2, comma 1, D.L. n. 4/2019, prevedeva tra i requisiti per il RdC che il richiedente non avesse “condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta” per i delitti indicati nel successivo art. 7, comma 3. Quest’ultimo articolo, a sua volta, stabiliva che sia la “condanna in via definitiva” sia la “sentenza di applicazione della pena su richiesta” per i medesimi reati comportassero “di diritto l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva” e l’obbligo di restituzione “di quanto indebitamente percepito”.

Nonostante l’art. 7, comma 3, menzioni testualmente la rilevanza delle sentenze di applicazione della pena su richiesta solo per la “revoca”, la Cassazione ha sottolineato che la “revoca” in questione non è assimilabile a una revoca per sopravvenienza (che opera ex nunc). Al contrario, il fatto che operi “con efficacia retroattiva” e comporti l’obbligo di restituire “quanto indebitamente percepito” la qualifica come un vero e proprio “annullamento“, con efficacia ex tunc, del provvedimento originario di concessione. In pratica, la legge reputa il beneficio illegittimo fin dall’origine.

Il “requisito di onorabilità” e la funzione della norma

La Corte ha concluso che, alla luce di questa interpretazione, anche l’assenza di sentenze di applicazione della pena su richiesta per i reati previsti dall’art. 7, comma 3, D.L. n. 4/2019, costituisce un particolare “requisito di onorabilità”. Questa previsione mira a circoscrivere l’intervento della solidarietà collettiva in favore di coloro che sono “realmente meritevoli”.

Il legislatore ha esercitato una valutazione discrezionale, non ritenuta arbitraria dalla Cassazione, giustificando che il sostegno solidaristico non debba estendersi a coloro che, con la propria condotta, hanno mancato ai doveri di onestà, lealtà e probità nei confronti della stessa collettività che invocano in aiuto, specie considerando la limitatezza delle risorse disponibili.

Pertanto, è stato ritenuto erroneo da parte dei giudici di merito considerare che la sentenza di applicazione della pena su richiesta non potesse precludere in radice il conseguimento del Reddito di Cittadinanza.

Le implicazioni pratiche della sentenza

Questa pronuncia è di fondamentale importanza perché chiarisce definitivamente che, ai fini dell’accesso al Reddito di Cittadinanza, la sentenza di applicazione della pena su richiesta (patteggiamento) per i reati indicati nella legge ha lo stesso effetto preclusivo di una condanna definitiva. Non è necessario che il beneficio venga prima concesso per poi essere revocato: la condanna (o il patteggiamento) opera come impedimento all’ottenimento sin dalla domanda.

Per i cittadini e per gli enti preposti, questa sentenza fornisce una guida chiara e vincolante sull’interpretazione di uno dei requisiti più sensibili per l’accesso alle prestazioni assistenziali.

Il nostro studio legale resta a disposizione per fornire consulenza e assistenza su queste e altre questioni relative al diritto amministrativo e previdenziale.


Si precisa che il presente articolo ha carattere informativo e non costituisce consulenza legale. Per questioni specifiche, si invita a consultare un professionista qualificato.

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