Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 5 giugno 2025, n. 15052
La Corte di Cassazione ha recentemente pronunciato una sentenza che chiarisce i confini dell’autorità del giudicato nei rapporti di lavoro di durata, con particolare riferimento alla vicenda dei lettori di madrelingua straniera presso le università italiane.
Il caso in esame
La controversia ha origine dal complesso rapporto lavorativo tra una lettrice di madrelingua straniera e l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. La vicenda si snoda attraverso diversi gradi di giudizio e tocca questioni fondamentali relative alla determinazione del trattamento retributivo e all’applicazione dell’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010.
La lavoratrice, assunta inizialmente come lettrice di madrelingua straniera con contratti a termine reiterati, aveva ottenuto in un primo giudizio il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto e la liquidazione delle differenze retributive fino al 31 ottobre 1994. Successivamente, un secondo giudizio aveva definito le differenze retributive per il periodo dal 1994 al 2008, con sentenza passata in giudicato che aveva escluso espressamente l’applicazione dell’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010.
La questione giuridica
Il nodo centrale della controversia riguardava la possibilità di applicare criteri di calcolo diversi da quelli già definiti dal giudicato per il periodo successivo al 2008. La Corte d’Appello di Bari aveva accolto parzialmente l’appello della lavoratrice, ritenendo che la norma di interpretazione autentica dell’art. 26, comma 3, potesse trovare applicazione per il periodo post-2008, non coperto dal precedente giudicato.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha censurato l’orientamento della Corte d’Appello, riaffermando un principio fondamentale: il giudicato esterno, in quanto dotato di forza imperativa e indisponibile per le parti, deve essere interpretato alla stregua delle norme giuridiche.
La Cassazione ha chiarito che la sentenza della Corte d’Appello di Lecce del 2013, passata in giudicato, aveva espressamente escluso l’applicazione dell’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010 non solo per il periodo specificamente oggetto di quel giudizio, ma anche per il periodo successivo, “in virtù del consolidamento della situazione antecedente”.
Il principio di diritto affermato
La sentenza ribadisce che, nei rapporti giuridici di durata e nelle obbligazioni periodiche, l’autorità del giudicato impedisce il riesame di questioni già definitivamente risolte. Il giudicato esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite rappresentato da una sopravvenienza di fatto o di diritto che muti materialmente il contenuto del rapporto.
Nel caso specifico, poiché alla data di definizione del giudizio precedente la norma di interpretazione autentica era già in vigore e la Corte di merito ne aveva inequivocabilmente escluso l’applicazione, non era possibile rimetterne in discussione l’applicabilità in un giudizio successivo relativo allo stesso rapporto.
Implicazioni pratiche
Questa pronuncia assume particolare rilevanza per diversi aspetti:
- Stabilità dei rapporti giuridici: conferma che il giudicato costituisce un elemento di certezza che non può essere aggirato attraverso la frammentazione temporale delle controversie
- Interpretazione del giudicato: stabilisce che l’interpretazione delle decisioni passate in giudicato segue le regole dell’interpretazione normativa, non negoziale
- Rapporti di lavoro universitari: chiarisce i limiti di applicazione retroattiva delle norme di interpretazione autentica quando intervengano su rapporti già definiti da giudicato
Conclusioni
La decisione della Cassazione rappresenta un importante chiarimento sui rapporti tra giudicato e normativa sopravvenuta nei rapporti di lavoro di durata. Il principio affermato tutela la certezza dei rapporti giuridici e impedisce che la frammentazione temporale delle controversie possa essere utilizzata per aggirare gli effetti di decisioni già definitive.
La vicenda evidenzia l’importanza di una valutazione complessiva degli effetti del giudicato nei rapporti continuativi e conferma che l’autorità della cosa giudicata non può essere compressa da interpretazioni che ne limitino artificiosamente la portata temporale.
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