La sentenza n. 12269 della Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, depositata il 9 maggio 2025, ribadisce con forza il principio secondo cui le azioni collettive organizzate dai lavoratori, anche se non configurabili come sciopero formale, rientrano nell’ambito dei diritti costituzionalmente garantiti e, pertanto, non possono essere sanzionate disciplinarmente dal datore di lavoro.
I fatti e il contesto
La vicenda trae origine dal licenziamento disciplinare intimato dalla società di trasporti, datrice di lavoro, a un lavoratore, per aver effettuato un turno di lavoro diverso da quello disposto dall’azienda. La Corte di Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, annullò tale licenziamento applicando la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. La Corte ritenne che la condotta del lavoratore non configurasse una forma di sciopero, ma si inserisse nelle previsioni di un contratto collettivo che punisce con sanzioni conservative l’inosservanza delle istruzioni lavorative, escludendo però un’insubordinazione grave.
Le questioni giuridiche
La società impugnò la sentenza, mentre il lavoratore presentò ricorso incidentale, sostenendo che la condotta in questione fosse una forma di protesta collettiva tutelata come diritto di sciopero atipico. Il punto nodale da risolvere riguardava la qualificazione giuridica della protesta messa in atto da undici lavoratori che si erano astenuti dal rispettare il turno di lavoro a scorrimento, eseguendo le mansioni in orari diversi e senza percepire l’indennità prevista.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dato prevalenza al ricorso incidentale del lavoratore, affermando che la protesta collettiva, pur non configurandosi come sciopero nel senso tecnico (perché non vi è stata astensione totale o parziale dal lavoro e la prestazione è stata comunque svolta e retribuita), rientra comunque fra le forme di autotutela collettiva garantite dalla Costituzione (art. 39) e dalle fonti sovranazionali (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Carta Sociale Europea, Carta Comunitaria Europea dei Diritti Sociali Fondamentali dei Lavoratori).
La Corte ha sottolineato che la libertà sindacale comprende anche la scelta delle modalità di azione collettiva e che il diritto di sciopero è solo una delle possibili forme di lotta. L’azione collettiva concreta posta in essere dai lavoratori, volta a contestare la decisione datoriale di sopprimere un’indennità contrattuale, si colloca nel novero delle azioni protette, purché non sfoci in comportamenti illeciti o violenti.
Inoltre, la sentenza richiama la giurisprudenza consolidata secondo cui i licenziamenti intimati per motivi discriminatori o ritorsivi in relazione ad attività sindacali o collettive sono nulli ai sensi dell’art. 4 della legge n. 604/1966, estendendo la tutela anche alle forme di protesta collettiva atipiche.
Implicazioni pratiche e conclusioni
La pronuncia della Corte di Cassazione ha un rilevante impatto pratico, poiché riconosce e tutela le forme di lotta collettiva anche quando non coincidono con lo sciopero formale. Questo significa che i lavoratori possono organizzare proteste collettive, quali variazioni concordate nell’orario di lavoro, senza temere sanzioni disciplinari o licenziamenti, a patto che tali azioni siano orientate alla difesa di interessi collettivi e si svolgano nel rispetto dei limiti imposti dall’ordine pubblico e dalla buona fede.
In definitiva, la sentenza n. 12269/2025 rappresenta un importante rafforzamento della tutela costituzionale della libertà sindacale e del diritto di azione collettiva, riconoscendo che la pluralità delle forme di lotta sindacale costituisce una componente essenziale della democrazia industriale e della tutela dei diritti dei lavoratori.
Per approfondimenti e documenti correlati, si rimanda ai testi normativi citati e alle pronunce giurisprudenziali richiamate nella sentenza.