Valutazione dei comportamenti extralavorativi penalmente rilevanti nel rapporto di lavoro, Cassazione, Sezione Lavoro, ord. 23 aprile 2025, n. 10612

DiAnnamaria Palumbo

Valutazione dei comportamenti extralavorativi penalmente rilevanti nel rapporto di lavoro, Cassazione, Sezione Lavoro, ord. 23 aprile 2025, n. 10612

Il caso in esame pone l’accento su un tema delicato: la valutazione dell’incidenza di comportamenti extralavorativi penalmente rilevanti sul rapporto di lavoro, con particolare riferimento al principio di presunzione di innocenza e alla tutela contrattuale del lavoratore.

La vicenda trae origine dal licenziamento di un lavoratore, C.R., coinvolto in un procedimento penale per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. La società datrice di lavoro aveva adottato il provvedimento di licenziamento sulla base della gravità delle accuse mosse al dipendente e del potenziale discredito arrecato all’azienda.

Il Tribunale di Cassino aveva inizialmente annullato il licenziamento, ritenendo insussistente la giusta causa e disponendo la reintegrazione attenuata del lavoratore ai sensi dell’art. 18, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori. La decisione era stata confermata in appello, ma successivamente cassata dalla Suprema Corte (sentenza n. 19263/2019), che aveva rinviato la questione alla Corte d’Appello di Roma per una nuova valutazione. In sede di rinvio, la Corte d’Appello aveva invece riconosciuto la legittimità del licenziamento per giusta causa, decisione impugnata dal lavoratore dinanzi alla Cassazione.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10612/2025, ha rigettato il ricorso del lavoratore, affrontando una serie di questioni centrali per la materia del licenziamento per giusta causa:

  1. Il licenziamento per giusta causa e il principio di presunzione di innocenza
    La Corte ha ribadito che il principio di presunzione di innocenza, previsto in ambito penale, non si applica automaticamente al rapporto di lavoro. Ai fini della legittimità del licenziamento, è sufficiente che i fatti contestati siano di gravità tale da compromettere il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente, senza necessità di una condanna penale definitiva.
  2. La valutazione della condotta extragiudiziale
    La Corte ha sottolineato che il comportamento extralavorativo del lavoratore può rilevare ai fini disciplinari se idoneo a minare la fiducia del datore di lavoro. Nel caso in esame, la gravità dei fatti contestati, l’abitualità dello spaccio e il coinvolgimento del dipendente in un’organizzazione criminale hanno giustificato il recesso senza necessità di attendere una sentenza penale definitiva.
  3. La contestazione disciplinare per relationem
    È stata considerata legittima la contestazione disciplinare per relationem, ossia mediante il richiamo a provvedimenti giudiziari noti al lavoratore, purché tali richiami siano sufficientemente specifici da consentire la piena difesa dello stesso.
  4. I poteri istruttori del Giudice del lavoro
    La sentenza ha ribadito il ruolo attivo del giudice del lavoro nel completamento dell’istruttoria, anche in sede di rinvio, al fine di valutare tutti gli elementi probatori necessari per accertare la giusta causa di licenziamento.

In breve, la pronuncia chiarisce due principi fondamentali in tema di giusta causa di licenziamento, con particolare riferimento al delicato equilibrio tra tutela del lavoratore e interessi dell’impresa.

  • La possibilità per il datore di lavoro di adottare il licenziamento anche in assenza di una condanna definitiva, purché la condotta contestata sia adeguatamente provata e connotata da una gravità tale da compromettere il rapporto fiduciario.
  • L’importanza della specificità nella contestazione disciplinare, che deve garantire al lavoratore il pieno esercizio del diritto di difesa.

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