Archivio mensile Aprile 11, 2025

DiAnnamaria Palumbo

Sull’autonomia del patto di non concorrenza rispetto al rapporto di lavoro, Cassazione civile, Sez. Lav. ord. 8 aprile 2025 n. 9256

La sentenza in esame si inserisce in un contesto giuridico complesso in materia di validità e congruità del patto di non concorrenza stipulato tra un datore di lavoro e un dipendente. La questione centrale riguarda la determinazione e l’adeguatezza del corrispettivo previsto per il vincolo di non concorrenza imposto al lavoratore dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

Premessa dei fatti

Il caso trae origine dal ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato nel 2015 dalla società (OMISSIS) s.p.a. contro il suo ex dipendente, C.D., un private banker. La società chiedeva l’inibizione dello svolgimento di attività concorrenziale da parte del lavoratore, oltre al risarcimento dei danni. Il patto di non concorrenza, stipulato nel 2014 e della durata di 20 mesi dalla cessazione del rapporto, prevedeva un corrispettivo di € 10.000 annui per tre anni, suddivisi in rate semestrali. Tuttavia, il Tribunale di Milano dichiarava nullo il patto, ritenendo il corrispettivo incongruo e indeterminabile, e ordinava la restituzione degli importi percepiti dal lavoratore.

Tale decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Milano nel 2017, che ribadiva l’invalidità del patto per indeterminatezza e sproporzione del compenso rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore.

Intervento della Corte di Cassazione

Con ordinanza n. 33424/22, la Corte di Cassazione annullava la sentenza d’appello, rilevando contraddizioni nella motivazione e rinviando la causa alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione. In sede di rinvio, la Corte d’appello, pur rivedendo parte delle argomentazioni, ribadiva la nullità del patto, sottolineando l’inadeguatezza del compenso rispetto alla durata e all’estensione territoriale del vincolo imposto al lavoratore.

Nuovo ricorso per cassazione

La società proponeva nuovamente ricorso per cassazione, articolando quattro motivi principali:

  1. Violazione dell’art. 2125 c.c. e dell’art. 1346 c.c.: La ricorrente contestava l’obbligo di prevedere un minimo garantito nel patto di non concorrenza, sostenendo che il patto fosse autonomo rispetto al rapporto di lavoro e che l’obbligo di pagamento del compenso sussistesse indipendentemente dalla durata del rapporto.
  2. Nullità della sentenza per motivazione contraddittoria: Si denunciava il contrasto tra l’affermazione della congruità del corrispettivo e la rilevazione della sua incongruità in caso di cessazione anticipata del rapporto.
  3. Motivazione perplessa e apparente: La ricorrente evidenziava incongruenze nella valutazione del compenso pattuito, ritenendo che la durata del rapporto di lavoro non dovesse incidere sulla validità del patto.
  4. Omesso esame di fatti decisivi: Si lamentava l’omissione di considerare il pagamento del corrispettivo anche successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro e l’interruzione dei pagamenti per inadempimento del lavoratore.

La Corte di Cassazione, nella pronuncia n. 9256/2025, ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendo errata la valutazione della congruità del compenso effettuata dalla Corte d’appello. La Suprema Corte ha ribadito che la congruità del corrispettivo deve essere valutata ex ante, ovvero alla luce delle clausole pattuite al momento della stipula del patto, indipendentemente dagli eventi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.

Principi di diritto stabiliti

La Corte ha chiarito che:

  1. Il patto di non concorrenza ha una natura autonoma rispetto al contratto di lavoro, regolando i rapporti tra le parti dopo la cessazione del rapporto lavorativo.
  2. La congruità del corrispettivo deve essere valutata in relazione al sacrificio richiesto al lavoratore, tenendo conto della durata del patto e dell’estensione territoriale del vincolo.
  3. Eventuali sproporzioni o indeterminatezze del compenso devono essere valutate al momento della stipula del patto e non in base a eventi successivi.

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione per un nuovo esame, attenendosi ai principi sopra esposti. La decisione sottolinea l’importanza di una chiara definizione del compenso nel patto di non concorrenza e della sua adeguatezza rispetto agli obblighi imposti al lavoratore.

DiAnnamaria Palumbo

Licenziamento disciplinare intimato dal MAECI nei confronti di un collaboratore in Pakistan

La Corte d’Appello di Roma ha recentemente affrontato un caso di licenziamento disciplinare intimato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) nei confronti di un collaboratore del Capo Missione presso l’ambasciata italiana in Pakistan. Originariamente, il Tribunale aveva annullato il licenziamento, stabilendo l’applicazione dell’art. 63, c. 2, del d.lgs. 165/2001 per determinare le conseguenze dell’invalido recesso. Tuttavia, la Corte d’Appello ha riformato la sentenza, limitandosi a modificare il quantum del risarcimento del danno e correggendo un errore interpretativo: il contratto di lavoro era soggetto alla legge locale pakistana e non a quella italiana.

Nonostante ciò, la Corte ha determinato che le tutele interne contro il licenziamento illegittimo, quali norme di ordine pubblico, si impongono anche su contratti soggetti a leggi estere. Applicando l’art. 18 della legge n. 300/1970, la Corte ha confermato l’ordine di reintegra del lavoratore e stabilito un risarcimento pari a 12 mensilità.

Il MAECI ha contestato la pronuncia in Cassazione, sollevando tre principali motivi di ricorso. In primo luogo, il Ministero ha evidenziato la necessità di accertare ufficialmente il contenuto della normativa pakistana, sostenendo che il ruolo delle parti fosse meramente sussidiario in tale accertamento. In secondo luogo, ha criticato la scelta della Corte di considerare la normativa pakistana in contrasto con l’ordine pubblico italiano, senza aver effettuato un accertamento completo della stessa. Infine, ha contestato l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, sostenendo che l’espressione dell’ordine pubblico interno in materia di licenziamenti illegittimi risiedesse piuttosto nella legge n. 604/1966, che prevede una tutela risarcitoria obbligatoria e non reintegratoria.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso del MAECI, chiarendo che il contratto di lavoro del collaboratore era soggetto alla disciplina locale pakistana ai sensi dell’art. 154 del d.P.R. n. 18/1967. Tuttavia, ha escluso che la normativa pakistana potesse regolare le conseguenze di un licenziamento illegittimo, poiché non prevedeva né la reintegrazione né un risarcimento adeguato, configurandosi così un contrasto con l’ordine pubblico italiano.

La Cassazione ha ribadito che i rapporti di lavoro con il MAECI, pur regolati da un sistema giuridico speciale, rientrano nel quadro del lavoro pubblico privatizzato. In caso di licenziamento illegittimo, tali rapporti sono soggetti alla normativa italiana, inclusa la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 della legge n. 300/1970. Inoltre, la Suprema Corte ha confermato la giurisdizione del giudice ordinario italiano nelle controversie riguardanti lavoratori assunti presso rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, sottolineando la prevalenza delle norme italiane in materia di licenziamenti illegittimi.

In conclusione, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Roma, ribadendo che i rapporti regolati dal d.P.R. n. 18/1967, pur soggetti alla legge locale per aspetti sostanziali, devono rispettare le normative italiane per quanto riguarda le conseguenze del licenziamento illegittimo. Tale orientamento rafforza il principio secondo cui le tutele italiane contro i licenziamenti illegittimi prevalgono in contesti di lavoro pubblico privatizzato, anche quando i contratti sono soggetti a leggi estere.

DiAnnamaria Palumbo

Il Ministero del Lavoro chiarisce gli interventi della L. 13 dicembre 2024, n. 203 (Collegato lavoro)

Con la Circolare n. 6 del 27 marzo 2025, il Ministero del Lavoro (ML) ha fornito importanti chiarimenti in merito all’applicazione delle disposizioni introdotte dalla Legge 13 dicembre 2024, n. 203, conosciuta come “Collegato lavoro”. La circolare si concentra sull’approfondimento di alcune norme specifiche, con l’obiettivo di garantire una corretta interpretazione e applicazione delle stesse. Di seguito un’analisi dei principali articoli oggetto di attenzione.

Art. 10 – Modifiche alla disciplina della somministrazione di lavoro (D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81)

L’articolo 10 introduce modifiche significative alla disciplina della somministrazione di lavoro, ridefinendo i limiti e le condizioni relative ai contratti di somministrazione a tempo determinato. La circolare chiarisce i nuovi criteri per il calcolo delle percentuali massime di utilizzo dei somministrati in base alla dimensione aziendale, così come le eccezioni previste per specifiche categorie di lavoratori, come i disoccupati di lunga durata e i giovani in cerca di prima occupazione.

Art. 11 – Norma di interpretazione autentica dell’art. 21, comma 2, del D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (attività stagionali)

Con l’articolo 11, si introduce una norma di interpretazione autentica per chiarire l’ambito di applicazione delle deroghe previste per i contratti di lavoro nelle attività stagionali. Il Ministero del Lavoro specifica che le attività stagionali sono quelle individuate dai contratti collettivi e dalle normative settoriali, includendo anche quelle legate a particolari ciclicità produttive. Questo intervento mira a risolvere dubbi interpretativi emersi negli anni precedenti.

Art. 13 – Durata del periodo di prova nei rapporti a tempo determinato

L’articolo 13 disciplina la durata massima del periodo di prova per i contratti a tempo determinato, introducendo un limite proporzionato alla durata complessiva del contratto. La circolare precisa che, per contratti di breve durata, il periodo di prova non può superare una percentuale predeterminata del totale dei giorni lavorati, garantendo così un equilibrio tra le esigenze del datore di lavoro e i diritti del lavoratore.

Art. 14 – Termine per le comunicazioni obbligatorie in materia di lavoro agile

Il lavoro agile, sempre più diffuso in Italia, è oggetto di aggiornamenti normativi con l’articolo 14. La circolare illustra i nuovi termini per l’invio delle comunicazioni obbligatorie, che passano da cinque a dieci giorni lavorativi, al fine di concedere maggiore flessibilità alle aziende. Tale modifica mira a semplificare le procedure amministrative senza compromettere la trasparenza nei rapporti di lavoro.

Art. 19 – Norme sulla risoluzione del rapporto di lavoro

Infine, l’articolo 19 introduce nuove disposizioni in materia di risoluzione del rapporto di lavoro, con particolare riguardo alle procedure di conciliazione obbligatoria. La circolare chiarisce che tali disposizioni si applicano esclusivamente ai rapporti di lavoro subordinato e dettaglia le modalità operative per la gestione delle controversie, promuovendo un approccio conciliativo per ridurre il contenzioso.