Illegittimità del licenziamento per uso indebito della rete aziendale: confermata la reintegrazione del lavoratore

DiAnnamaria Palumbo

Illegittimità del licenziamento per uso indebito della rete aziendale: confermata la reintegrazione del lavoratore

Cassazione Civile, Sezione Lavoro: Ordinanza n. 8943 del 4 aprile 2025

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8943 del 4 aprile 2025, ha respinto il ricorso presentato dalla (OMISSIS) S.r.l., confermando l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato a un dipendente per presunto uso indebito della rete internet aziendale durante l’orario di lavoro.

La vicenda giudiziaria

Il caso trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato a un dipendente della società, accusato di aver navigato su internet per fini personali durante l’orario lavorativo, con una presunta durata media giornaliera di tre ore. Il Tribunale di Enna, con sentenza n. 225/2023, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, disponendo la reintegrazione del lavoratore e il risarcimento del danno. Decisione confermata dalla Corte d’Appello di Caltanissetta, che, con la sentenza n. 182/2023, aveva ritenuto non adeguatamente dimostrata la durata effettiva della navigazione e la sistematicità della condotta contestata.

La società, non soddisfatta delle pronunce di merito, aveva proposto ricorso per cassazione, articolando tre motivi principali: violazione del principio di giudicato interno; omesso esame della relazione tecnica prodotta a sostegno della tesi aziendale; errata interpretazione della lettera di contestazione disciplinare.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha analizzato dettagliatamente i motivi proposti dalla società ricorrente, evidenziando come essi si traducessero in una critica meramente fattuale rispetto alle valutazioni operate dai giudici di merito, inammissibile in sede di legittimità.

  1. Giudicato interno e mancata contestazione dei fatti
    La Corte ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, rilevando che la società non aveva adeguatamente trascritto gli atti rilevanti, impedendo alla Cassazione di verificare l’asserita violazione del giudicato. Inoltre, ha sottolineato che la mancata contestazione dell’uso del computer per navigazione privata non esonerava il datore di lavoro dall’onere di provare la durata e la gravità della condotta, elementi essenziali per la legittimità del licenziamento.
  2. Relazione tecnica e prova della durata della navigazione
    Il secondo motivo, relativo all’omesso esame della relazione tecnica, è stato ritenuto infondato. La Corte ha evidenziato che i dati contenuti nella relazione non fornivano elementi certi circa la durata effettiva della navigazione, limitandosi a un elenco di accessi senza indicazioni precise sui tempi trascorsi online. Tale lacuna probatoria, già rilevata dai giudici di merito, impediva di considerare provata la durata media di tre ore indicata nella contestazione disciplinare.
  3. Interpretazione della contestazione disciplinare
    Anche il terzo motivo, riguardante l’interpretazione della lettera di contestazione, è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha ribadito che l’interpretazione della contestazione disciplinare, operata dalla Corte d’Appello, rientra nell’accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione logica e congrua. La Corte ha inoltre precisato che la durata della navigazione costituiva un elemento centrale dell’addebito contestato, non modificabile nel corso del giudizio.

Principi ribaditi dalla Cassazione

Con questa decisione, la Corte di Cassazione ha confermato alcuni principi fondamentali in materia di licenziamento per giusta causa:

  • Onere probatorio a carico del datore di lavoro: Spetta al datore di lavoro dimostrare non solo la condotta addebitata al dipendente, ma anche la sua gravità e sistematicità, elementi essenziali per giustificare la sanzione espulsiva.
  • Proporzionalità della sanzione disciplinare: Il licenziamento deve essere proporzionato alla condotta contestata, valutata nella sua effettiva rilevanza e gravità.
  • Immutabilità della contestazione disciplinare: L’addebito contestato deve essere valutato nella sua formulazione originaria, senza possibilità di reinterpretazione o ampliamento in corso di giudizio.
  • Inammissibilità delle censure fattuali in Cassazione: La Corte di Cassazione non può sostituirsi ai giudici di merito nella valutazione del materiale probatorio, limitandosi a verificare la correttezza giuridica della decisione impugnata.

Conclusioni

L’ordinanza n. 8943/2025 rappresenta un importante precedente in tema di licenziamenti disciplinari, riaffermando la centralità dei diritti del lavoratore e la necessità per il datore di lavoro di rispettare rigorosi criteri probatori e procedurali. La sentenza, inoltre, sottolinea l’importanza di una corretta formulazione della contestazione disciplinare, che deve essere chiara e supportata da elementi oggettivi e verificabili.

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